Delitto Mollicone, la Cassazione annulla l'assoluzione dei Mottola. La commozione della sorella e il silenzio degli imputati
Ci sara' un processo d’appello Bis per l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna Maria Mottola
I giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione hanno annullato le assoluzioni, disponendo un processo d’appello Bis, per l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, in provincia di Frosinone, Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna Maria Mottola accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere di Serena Mollicone la studentessa di 18 anni uccisa ad Arce nel mese di giugno del 2001. Il procuratore generale della Cassazione, nel corso della sua requisitoria aveva sollecitato l'annullamento della sentenza di assoluzione di secondo grado e di celebrare un processo d'appello bis.
La commozione di Consuelo, la sorella di Serena
"Il mio pensiero va a mia sorella, che non rivedrò più nella mia vita così come mio padre. Noi confidiamo nella giustizia che attendiamo da 24 anni. Da oggi abbiamo speranza".
Nessun commento dai Mottola
I difensori si sono limitati a dire che "attenderanno di leggere le motivazione per poi fare le valutazioni del caso".
La requisitoria della Procuratrice generale
Ha definito la sentenza di appello, che aveva assolto la famiglia Mottola, "viziata da plurime violazioni di leggi" con una "pluralità di indizi non valutati in maniera unitaria". Una pronuncia "totalmente carente" che nel ricostruire quanto avvenuto oltre venti anni fa lo ha fatto con "atteggiamento pilatesco", omettendo "di motivare sulla presenza di Mollicone quella mattina nella caserma di Arce".
I precedenti processi
La sentenza di secondo grado, in cinquanta pagine, aveva ribadito l'inesistenza di elementi a carico della famiglia Mottola, accusata di avere ucciso la liceale di 18 anni scomparsa da Arce il primo giugno e trovata morta tre giorni più tardi nel bosco Fonte Cupa della vicina Monte San Giovanni Campano. L'assoluzione bis ha ricalcato le stesse ragioni che avevano condotto alla sentenza di primo grado. Vale a dire la mancanza di prove. Non c'è la prova che Serena, il giorno del delitto, sia entrata nella caserma dei carabinieri e li sia stata ammazzata al culmine di una lite con Marco Mottola.
La svolta dalle dichiarazioni del Carabiniere, morto suicida
La svolta che aveva portato ai due processi per i Mottola stava nelle dichiarazioni rese nell'inchiesta bis dal brigadiere Santino Tuzi, poi morto suicida. Ma la Corte d'Appello di Rona, esattamente come la Corte d'Assise di Cassino, afferma che le sue dichiarazioni sono confuse, generiche, ritrattate, rese sotto pressione "non dandogli la possibilità di dare una versione alternativa dei fatti nonostante Tuzi tentasse di farlo (...). Due volte fornisce una tesi che finisce per accrescere i dubbi sulla credibilità della persona". Nel corso del processo di appello è stato ascoltato un amico del brigadiere Tuzi. Davanti ai giudici di secondo grado ha affermato di essere convinto che non si fosse suicidato "ma che gli avessero tappato la bocca". Sul punto i giudici scrivono che "appare veramente strano che un teste indignato e furibondo non si sia precipitato dagli inquirenti a fornire un elemento così importante ed abbia tenuto il segreto per 15 anni. Il timore di ritorsioni sulla figlia, in assenza di minacce esplicite è un'ipotesi umanamente comprensibile ma è stata una scelta in grado di incrinare l'efficacia probatoria del testimone". Secondo l'accusa Marco voleva evitare che Serena lo denunciasse perché spacciava droga. Da qui l'aggressione e il violento colpo contro una porta della caserma. La Corte ha ritenuto "evanescente" il movente a fronte "di un compedio probatorio insufficiente e contradditorio".