Le piscine naturali di Castelporziano sono a rischio a causa del cambiamento climatico
Il focus di Legambiente sulle zone umide
Le “piscine naturali” della Tenuta Presidenziale di Castelporziano sono a rischio. Dal 2000 ad oggi si sono ridotte del 43% a causa dei drastici emungimenti in tutto l'agro romano e gli effetti della crisi climatica. Si tratta di invasi d’acqua naturali chiusi molto importanti che ospitano habitat fragilissimi, ricchi di macroinvertebrati, vertebrati e piante rare.
L'allarme di Legambiente
A scattare la fotografia è Legambiente che, nel focus Ecosistemi acquatici 2025, individua gli “scrigni di cristallo”, ovvero le zone umide più minacciate dal cambiamento climatico. Altro osservato speciale, oltre alle piscine naturali della Tenuta Presidenziale di Castelporziano che dista circa 25 Km dal centro di Roma, è il Delta del Po che sta facendo i conti con la siccità, registrando nel 2022 il peggior periodo di magra idrologica, non è da meno il Lago Trasimeno in Umbria che, nell’estate 2024, ha visto ridurre del 40% la piovosità, con relativa diminuzione dei livelli delle falde e delle portate delle sorgenti, inferiori ai valori medi. In Basilicata, c’è il Lago di San Giuliano che nell’ultimo anno ha registrato una riduzione dei volumi d’acqua del 60-70%. In Sicilia il Lago di Pergusa, importante stazione di sosta per centinaia di specie di volatili durante il loro viaggio dall’Africa all’Europa e scrigno di ricchezze florofaunistiche, durante la scorsa estate completamente prosciugato.
Alla scoperta delle zone umide
Dal 1° a 9 febbraio saranno oltre 70 gli appuntamenti tra escursioni, visite guidate e incontri organizzati da oltre 70 tra Circoli e Regionali di Legambiente coinvolti in 17 regioni italiane. Primo appuntamento domani a Sabaudia al Parco nazionale del Circeo.
Ricordando i ritardi dell’Italia nell’applicazione della Strategia dell’UE sulla Biodiversità per il 2030 e della Nature Restoration Law, Legambiente chiede al Governo un serio impegno non solo nella messa a punto di risorse economiche e interventi su prevenzione, mitigazione e adattamento alla crisi climatica, ma anche nella protezione e nel ripristino degli ecosistemi acquatici e delle zone umide. Tre le priorità: 1) tutela del 30% degli ecosistemi acquatici e delle zone umide e protezione del 10% in maniera rigida entro il 2030, accelerando l’istituzione di nuovi parchi e riserve fluviali, a partire da quelli già previsti da leggi nazionali e regionali; 2) gestione unitaria tra le aree naturali protette e la rete Natura 2000, affidando la gestione dei siti fluviali della Rete natura 2000 ai parchi e alle riserve esistenti; 3) ripristino almeno del 20% degli ecosistemi acquatici degradati, dando priorità a interventi Nature-based Solutions.
Inoltre, sulla scia dei fallimenti della COP 29 a Baku e della COP 16 a Cali, il Cigno Verde chiede al Governo di non sprecare il “secondo tempo” della COP 16 (a Roma dal 25 al 27 febbraio) per arrivare ad un accordo sul finanziamento della protezione della natura nei Paesi poveri e, più in generale, su come mobilitare le risorse finanziarie per la biodiversità, per una piena ed effi
“In piena crisi climatica, il valore delle zone umide e degli ecosistemi acquatici cresce considerevolmente: oltre a conservare la biodiversità, immagazzinano grandi quantità di carbonio, assorbono le piogge in eccesso arginando il rischio di inondazioni, rallentano l’insorgere della siccità e riducono al minimo la penuria d’acqua - dichiara Stefano Raimondi, responsabile biodiversità Legambiente -. Il Governo italiano recuperi i ritardi nell’attuazione della Strategia per la biodiversità al 2030 e della Nature Restoration Law; una riforma, quest'ultima, che ha fortemente osteggiato ma fondamentale, che impone all’esecutivo di presentare, entro il 1° settembre 2026, un piano nazionale di ripristino alla Commissione europea per riportare da cattive a buone condizioni almeno il 30% degli habitat coperti dalla legge entro il 2030 e il 90% entro il 2050. Fondamentale anche per affrancarsi dal numero alto di richiami che riceve dall’UE per il mancato rispetto delle direttive sulla biodiversità (come la direttiva Uccelli e il regolamento REACH)”.