nuova udienza

Il processo per la morte di Satnam Singh, Lovato depone in aula: “Ero nel panico, ho perso la testa”. LE INTERVISTE

Il racconto di quel tragico 17 giungo 2024

Il processo per la morte di Satnam Singh, Lovato depone in aula: “Ero nel panico, ho perso la testa”. LE INTERVISTE

Nuova udienza del processo per la morte di Satnam Singh, il bracciante indiano deceduto lo scorso anno. Oggi è stato il giorno di Antonello Locato, l’imprenditore accusato di omicidio volontario. L’uomo ha risposto alle domande del PM Sabrina Marra, degli avvocati delle parti civili e si è sottoposto al contro interrogatorio.

La deposizione di Lovato

“Satnam lavorò con noi per circa sette, otto mesi. Era senza contratto e non fu un rapporto continuativo. Nessuno nella mia azienda era regolare con il lavoro. Con noi c’era anche la compagna, Soni Soni. Li incontrai per strada. Chiesi loro se avevano i documenti e loro mi dissero che erano in attesa dell’asilo politico. Vennero a lavorare con me, erano brave persone. Il 17 giugno 2024 a lavorare eravamo io, Soni Soni, Satnam e altri due collaboratori: Gora e Furlanetto. Il mezzo poteva essere utilizzato solo da fermo. Lo utilizzavo esclusivamente io, era artigianale e nessuno lo ha mai usato tranne me. Io non mi avvalsi mai della collaborazione di Satnam per utilizzare il trattore e il mezzo attaccato. Satnam era addetto solo a sbloccare i teli sul terreno. Era un jolly.

Satnam si avvicina a me e gli dissi di non toccare niente perché dovevo allontanarmi e mi avvicinai a Soni per spiegarle cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo. Satnam era uno che rubava il lavoro con gli occhi, aveva voglia di fare. Fu lui a dirmi di andare a parlare con Soni che quel giorno sarebbe tornata prima a casa con un altro ragazzo in sella al motorino. Giusto il tempo che stavo con Soni a parlare che abbiamo sentito le urla e ci siamo precipitati sul posto vedendo Satnam in una pozza di sangue. Ma io non avevo dato nessuna direttiva di lavoro a Satnam. Io ero a 40 metri rispetto al punto in cui si è fatto male e non potevo vederlo, non so se ha maneggiato l’avvolgitelo. Accorremmo da Satnam, anche insieme a Soni, e abbiamo visto l’arto tagliato. Subito abbiamo cercato di tamponare la ferita. Lui era cosciente. Dall’arto non perdeva sangue, c’era solo a terra il sangue. Eravamo presi tutti dal panico, c’era il caos totale, ho perso la testa.

Da quando ci fu il ferimento e il tempo che l’ho portato in via Genova sono passati 15 minuti. Non chiamai io i soccorsi perché non avevo il cellulare con me. In quei momento, il panico ha preso il sopravvento su tutti noi. Soni mi chiedeva di portarla a casa insieme al marito, col presupposto che i soccorsi stavano arrivando a casa loro, in Via Genova, a Castelverde. Io non chiamai i soccorsi perché ero convinto che stavano arrivando a casa sua. Lo caricai sul furgone e partimmo a tutta velocità verso la loro casa. Eravamo io, Satnam e Soni che teneva il compagno tra le braccia. Satnam respirava ancora ed era cosciente. Non ho chiamato io l’ambulanza, purtroppo. Sono arrivato in Via Genova e li’ ho trovato un cancello aperto e c’era padrone di casa e un ragazzo indiano. Siamo arrivati davanti alla porta, ma Soni non aveva le chiavi. Li ho lasciati lì davanti all’uscio di casa, l’ho poggiato tra le braccia di Soni e sono andato via dagli avvocati. Deve essere chiaro che non l’ho lasciato sul marciapiede. Io non sono scappato, sono andato a casa a lavarmi. Il signor Ilario Pepe, il padrone di casa, stava al telefono con i soccorsi, per far venire l’ambulanza e il braccio di Satnam l’ho messo io nella cassetta della frutta”.

La prossima udienza il 3 febbraio 2026.

Le interviste agli avvocati