Settecentomila euro: è la somma che l’ASL di Frosinone dovrà versare ai familiari di un settantenne di Veroli, deceduto in seguito alla somministrazione errata di un farmaco incompatibile con una preesistente patologia renale. La sentenza è arrivata nei giorni scorsi dalla Corte d’Appello di Roma, che ha ribaltato l’esito del primo grado, riconoscendo la responsabilità sanitaria e disponendo il maxi risarcimento.
La vicenda risale al giugno del 2012, quando l’uomo, dopo essere caduto dalle scale mentre lavorava in casa, fu trasportato d’urgenza all’ospedale “Spaziani” di Frosinone. Le sue condizioni apparivano serie ma gestibili. Tuttavia, secondo quanto ricostruito in sede processuale, gli fu somministrata una terapia farmacologica non compatibile con la sua insufficienza renale. A peggiorare il quadro clinico fu proprio l’effetto di quel medicinale, che contribuì a un grave squilibrio metabolico. Trasferito d’urgenza al Policlinico Umberto I di Roma, l’uomo fu colto da infarto durante il tragitto in ambulanza, arrivando in condizioni critiche. Le cure intensive non bastarono a salvarlo: il paziente morì due mesi dopo il primo ricovero.
I familiari hanno intrapreso una lunga battaglia legale per ottenere giustizia, ipotizzando fin da subito un caso di malasanità. Le consulenze di parte hanno evidenziato errori nella gestione clinica iniziale, tra cui la mancata somministrazione di farmaci utili a contenere l’acidosi metabolica. In primo grado, il giudice non aveva accolto la tesi dei familiari. Ma in Appello è arrivata la svolta: i magistrati romani hanno ritenuto responsabile l’ASL di Frosinone, condannandola al pagamento di 700mila euro. Una dottoressa, coinvolta inizialmente nel procedimento è stata invece prosciolta.